In breve
Il corpo del Santo evangelista fu
conservato e venerato a lungo ad Alessandria. Oltre la testimonianza
di Palladio abbiamo quella degli Atti di san Pietro, vescovo di
quella città nel quarto secolo, (la stesura però di questa “passio”
è molto posteriore) che ci dicono come nella località del martirio
di san Marco, a Bucoli, c’era una chiesa costruita nel 310, appena
i cristiani poterono costruirne una all’aperto, e un cimitero che
prendeva il nome del santo. Il corpo di San Marco era molto
probabilmente ancora lì, custodito in una bella tomba di marmo, in
una chiesa situata presso il porto all’entrata della città quando
nel secolo ottavo essa cadde in mano degli Arabi.
Il monaco franco
Bernardo però che verso la fine del secolo nono compie il suo
pellegrinaggio in terra santa ci assicura (il manoscritto che abbiamo
è abbastanza tardo ma sembra doversi ricondurre ad una fonte più
antica) che il corpo dell’evangelista non si trovava più in Egitto
ma era stato trasportato a Venezia. Queste le voci che il monaco
raccoglie sul posto e che confermerebbero la tradizione.
Secondo
questa infatti nel 828 dieci navi veneziane spinte dal vento contro
la volontà dei loro marinai, “navigantes velut inviti” avrebbero
approdato ad Alessandria d’Egitto contravvenendo ai decreti
dell’imperatore bizantino Leone V l’Armeno (813-820), confermati
dal duca veneziano Giustiniano Partecipazio, che proibivano il
commercio con gli arabi; contravvenzione però avvenuta “Deo
volente … divino nutu”, tiene a ripetere l’estensore del
racconto. Tra gli occupanti di quelle navi, che tra l’altro da
buoni mercanti avevano approfittato di quella sosta forzata per fare
affari, si trovavano i tribuni Buono da Malamocco e Rustico da
Torcello. Costoro oltre che buoni mercanti erano anche uomini pii e
ogni giorno si recavano nella chiesa dove era sepolto il corpo di san
Marco, vicino al porto, per venerarlo. Entrarono così in amicizia
con i custodi del tempio e soprattutto col monaco Staurazio e il
prete Teodoro, quest’ultimo secondo il costume orientale, sposato.
Data l’usanza instaurata dal califfo abasside Mamum di spogliare le
chiese cristiane per costruire delle moschee e la paura che regnava
tra i cristiani di vedere distruggere i luoghi di culto e profanare
le preziose reliquie, i due veneziani propongono ai due alessandrini
di trafugare il corpo dell’evangelista. E’ vero, essi rispondono
alle obiezioni di quest’ultimi, che il santo ha evangelizzato
Alessandria e sarebbe giusto che vi restasse il suo corpo, ma prima
ancora ha evangelizzato Aquileia e la regione veneta “unde nos
sumus primogeniti filii eius” (e noi siamo i suoi figli
primogeniti), per cui non si tratterebbe che di un ritorno “nos
Dominus hic velut invitos adduxit ut nobis eundem nostrum
sanctissimum patrem restituat” e poi ci sarà anche una buona
ricompensa per voi da parte del duca veneziano.
Staurazio e
Teodoro da principio non cedono ma poi, anche perché il pericolo di
profanazione diventa sempre più prossimo ed uno degli altri custodi
del tempio è già stato arrestato, acconsentono ai desideri di Buono
e di Rustico. Il corpo dell’evangelista viene imbarcato sotto gli
occhi degli arabi con uno stratagemma: la cesta che lo contiene viene
riempita di foglie di cavoli e di altri ortaggi e di carne porcina
alla cui vista essi si mettono a gridare “Kinzir, Kinzir”
(maiale, maiale) e si allontanano sputando. Forse tale sistema viene
adoperato per ingannare non solo i mussulmani ma anche i cristiani
alessandrini, attaccati al loro santo patrono e una frase del
racconto potrebbe farcelo sospettare. Incomincia così il viaggio di
ritorno e la leggenda fiorisce a questo punto di miracoli. Al
passaggio delle sacre spoglie si sparge attorno un insistente
profumo; la nave di Buono e Rustico va a piantarsi velocemente sul
fianco di un’altra i cui occupanti li deridevano dicendo che era
stata data loro una mummia e non il corpo del santo e non si stacca
finché questi ultimi non riconoscono la verità; il salvataggio
nella tempesta; gli isolani che vanno incontro alla nave,
prodigiosamente avvertiti del trasporto; il demonio che si impossessa
del negatore più ostinato. Arrivano finalmente in Istria, ad Umago e
si fermano incerti sul da farsi. Mandano allora a Giustiniano
Partecipazio un’ambasceria per dargli il lieto annuncio e farsi
perdonare la trasgressione dei suoi ordini. Il duca accoglie con
gioia la notizia e si prepara con il vescovo Orso e il popolo a
ricevere “talem thesaurum”. E la preziosa reliquia arriva a Rivo
Alto. Le autorità religiose e civili gli si fanno processionalmente
incontro e altri miracoli segnano il suo trasporto. Mentre ci si
avvia per la scala che porta al palazzo ducale non c’è neppure il
più tenue soffiar di vento, ma il manto che copre il corpo santo si
agita come se fosse mosso da una impetuosa e misteriosa forza e i
portatori, cui prima il corpo pesava moltissimo, non fanno più
nessuna fatica. Lo si depone in una stanza vicina la palazzo in
attesa di costruirvi la chiesa. Morto nel 829 Giustiniano, secondo
quanto egli stesso dispone nel suo testamento viene eretto dal
fratello Giovanni “infra territorio sancti Zachariae”, una
basilica “elegantissimae formae, ad eam similitudinem, quam supra
domuni tumulum Hierosolimis viderat” cioè a pianta centrale e vi
si depone “honore dignissimo venerabillimum corpus”.
I
valori religiosi e civili nel culto di san Marco si potenziano a
vicenda e si fondono in una infrangibile unità, destinata a durare
nei secoli. L’evangelista diventa il simbolo della patria, le
monete e le bandiere si fregeranno del leone alato, la basilica
marciana diventerà tempio e arengo. “Viva San Marco!”; con
questo grido i veneziani saluteranno le loro vittorie e si
rinfrancheranno dopo le loro sconfitte. (A. NIERO, Culto dei Santi a
Venezia, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1965.).
La festa era solennemente celebrata
nella Basilica Ducale: il Primicerio cantava solennemente il
Pontificale alla presenza di tutto il Capitolo, e il Doge vi
assisteva insieme a tutta la Signoria. Ancora con una certa solennità
il Patriarca, trasferitosi nella Basilica dopo l'imperiosa
riorganizzazione napoleonica del territorio ecclesiastico veneziano
occorsa nel 1806, celebrava la festa del 31 gennaio.