(foto dal web)
VANGELO
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis parábolam hanc: Simile erit regnum coelórum decem virgínibus: quæ, accipiéntes lámpades suas, exiérunt óbviam sponso et sponsæ. Quinque autem ex eis erant fátuæ, et quinque prudéntes: sed quinque fátuæ, accéptis lampádibus, non sumpsérunt óleum secum: prudéntes vero accepérunt óleum in vasis suis cum lampádibus. Horam autem faciénte sponso, dormitavérunt omnes et dormiérunt. Média autem nocte clamor factus est: Ecce, sponsus venit, exíte óbviam ei. Tunc surrexérunt omnes vírgines illae, et ornavérunt lámpades suas. Fátuæ autem sapiéntibus dixérunt: Date nobis de óleo vestro: quia lámpades nostræ exstinguúntur. Respondérunt prudéntes, dicéntes: Ne forte non suffíciat nobis et vobis, ite pótius ad vendéntes, et émite vobis. Dum autem irent émere, venit sponsus: et quæ parátæ erant, intravérunt cum eo ad núptias, et clausa est iánua. Novíssime vero véniunt et réliquæ vírgines, dicéntes: Dómine, Dómine, áperi nobis. At ille respóndens, ait: Amen, dico vobis, néscio vos. Vigiláte ítaque, quia nescítis diem neque horam.
(Vangelo secondo Matteo 25, 1 - 13)
Traduzione:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo e alla sposa. Ma cinque di esse erano stolte e cinque prudenti. Le cinque stolte, nel prendere le lampade, non presero l'olio con sé; le prudenti, invece, insieme con le lampade presero anche l'olio, nei loro vasi. Tardando a venire lo sposo, si assopirono tutte e si addormentarono. Ma a mezzanotte si udì un clamore: “Ecco viene lo sposo: uscitegli incontro”. Allora tutte le vergini si alzarono e prepararono le loro lampade. E dissero le stolte alle prudenti: “Dateci un po' del vostro olio, poiché le nostre lampade stanno per spegnersi”. Risposero le prudenti dicendo: “Non basterebbe né a noi, né a voi: andate piuttosto dai rivenditori e compratevene”. Mentre esse andavano, giunse lo Sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui alla festa nuziale, e la porta fu chiusa. All'ultimo momento, giunsero anche le altre vergini e dicevano: O Signore, Signore, aprici!". Ma egli rispose: “In verità vi dico: non vi conosco”. Vigilate, dunque, poiché non sapete né il giorno né l'ora».
Agiografia
Beatrice II d’Este, nata dai
nobilissimi Azzo IX [VII], marchese di Ferrara, e Giovanna, sorella
di Roberto re di Puglia, già fin dalla prima giovinezza cercò
d’imitare la straordinaria pietà e integrità di vita di sua zia
Beatrice. Poiché si distingueva per le singolari qualità dell’animo
e del corpo, e molti prìncipi italiani aspiravano alla sua mano, il
padre la promise in sposa a Galeazzo, figlio di Manfredi, giovane di
pari nobiltà e insigne per esperienza militare e per valore
guerresco. Ma mentre Beatrice, accondiscendendo al volere paterno,
con un gran corteggio di gentiluomini e di dame lasciava Ferrara per
raggiungere lo sposo a Milano, fu recata la notizia che Galeazzo,
mortalmente ferito, era caduto in battaglia. Ella pertanto, vista la
caducità delle cose terrene, senza esitazione si abbandonò a Dio,
che la chiamava a ben più nobili nozze, stabilendo di avere in Lui,
da quel momento, quello Sposo che nessun accidente le avrebbe potuto
strappare. Così, tornò indietro e, non appena fu giunta, nei pressi
di Ferrara, alla località che veniva chiamata San Lazzaro, non volle
entrare in città, ma si fermò in quel luogo e, rinunciando a ogni
principesco ornamento, vestita di grezzo e ispido panno si consacrò
interamente a Dio, celebrando così uno splendido trionfo sulle pompe
del mondo; e nessuno, nemmeno il padre con i suoi consigli, riuscì a
distoglierla dal santo proposito.
Mosse dall’esempio di
Beatrice, sette nobili fanciulle, sue compagne di viaggio, benché
già destinate agli sposi, e quattro sue ancelle abbracciarono lo
stesso genere di vita. Immediatamente si aggiunsero altre compagne,
così Beatrice, grazie all’intervento dell’autorità Apostolica,
ottenne un luogo più grande, chiamato all’epoca Santo Stefano
della Rotta, ora Sant’Antonio, per erigere un monastero. Lì ella
costruì un cenobio, al quale suo padre Azzo assegnò amplissime
rendite, e propose, per sé e per le vergini che colà si erano date
alla vita religiosa, l’osservanza della regola di san Benedetto; e,
per legarsi più strettamente allo Sposo celeste, nel 1254 emise la
professione solenne dei tre voti nelle mani del vescovo di Ferrara,
Giovanni Quirini. Fu da allora che, disponendo il proprio cuore a
salire verso Dio, con l’assiduo esercizio di tutte le virtù e con
il continuo spirito di preghiera e raccoglimento si sforzò di
raggiungere il vertice della perfezione religiosa. Di lei si dice che
fosse anzitutto di un’umiltà straordinaria e di una singolare
carità verso i poveri, al punto che non solo si rifiutava
categoricamente di stare a capo delle compagne, pur essendo di tutte
madre e maestra, ma in aggiunta si occupava delle consorelle malate,
svolgendo alacremente ogni più umile compito e servizio.
Si
tramanda che le fosse particolarmente caro dar da mangiare a tutti i
poveri che accorrevano da lei, e donar loro, altresì, vesti con cui
coprirsi, al punto che tutti la chiamavano madre dei bisognosi. Alla
fine, cadde ammalata, e comprendendo da ciò come fosse ormai
incombente la fine dei suoi giorni, ristorata dai Sacramenti della
Chiesa, esortò le consorelle all’amore di Dio e all’osservanza
della Regola dell’istituto, non senza aver chiesto, prima, il loro
perdono. Erano trascorsi quindici anni dalla professione; l’8
gennaio 1262, nella cenere e nel cilicio, rivolti gli occhi al cielo,
rese l’anima a Dio pronunciando le parole: “In manus tuas,
Domine, commendo spiritum meum” [“Nelle tue mani, Signore, affido
il mio spirito”]. Che la sua morte fosse preziosa al cospetto del
Signore lo mostrarono chiaramente i molti miracoli che si tramandano
accaduti per i suoi meriti. Il culto religioso a lei tributato già
fin dalla sua morte e continuamente prestatole fino a questi tempi fu
approvato da Clemente XIV. Il Sommo Pontefice Pio VI concesse poi
benevolmente che la sua festa venisse celebrata, con l’Ufficio e la
Messa, il 19 gennaio.
(Dal Mattutino, trad. M.Rinaldi)
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