Di Matteo Rossi
Chi non conosce Domenico Zipoli, compositore annoverato trai “minori” nella schiera di musicisti cresciuti nelle navate di tante chiese, che mirabilmente hanno saputo riempire con le loro angeliche musiche. Certamente tutti gli organisti della Penisola conosceranno le celebri Sonate di Intavolatura per organo e cimbalo del 1715 e saranno soliti suonare la sua meravigliosa pastorale avanti l’introito della messa della Mezzanotte, il giorno del Santo Natale. Pertanto non vogliamo qui riferirci che velocemente alla sua produzione, che purtroppo giuntaci pesantemente mutila. Ciò che vorremmo ricordare è la sua vicenda biografica: nato a Prato il 17 ottobre 1688 lo vediamo spirare all’inizio nel 1726 a Córdoba, città dell’attuale Argentina, allora appartenente alla provincia del Paraguay dell’impero spagnolo. Fattosi gesuita nel 1716 era infatti partito come missionario per queste lontane lande, dove la Fede cattolica, dopo due secoli dall’arrivo nel Nuovo Mondo, ancora faticava ad imporsi sulle pagane credenze tuttora ivi diffuse. Negli anni precedenti, tra il 1709 (o 1710) lo troviamo attivo a Roma, dopo aver studiato con i migliori maestri italiani del suo tempo: Bernardo Pasquini e Domenico Scarlatti. La preparazione e il precoce talento gli fruttarono un crescente numero di incarichi di prestigio tra cui, nel 1715, il posto di organista nella chiesa dei Gesuiti, nello stesso anno in cui pubblicò la già ricordata raccolta di lavori per tastiera. Sorprendiamo dunque il maestro Zipoli preparare armi e bagagli e lasciare il cuore della cristianità per la sua periferia più remota, nel pieno della gloria mondana, quando il suo nome legavasi alla pagina grazie alla nera alchimia della stampa.
Partitosi da Roma verso Genova nell’aprile del 1716, lo ritroviamo far vela da Cadice verso Buenos Aires il 5 aprile 1717, accompagnato da Giovanni Battista Primoli, eminente architetto che grande e concreta traccia lascerà di sé nella missione sud americana. Dopo molte peripezie, comuni a tanti altri viaggiatori nel corso dei secoli, lo Zipoli raggiunge Córdoba nel pieno dell’estate, dove ben presto si iscrive al collegio gesuitico, completando nel 1724 gli studi necessari all’ordinazione sacerdotale. Per via della mancanza di un vescovo nella città, non riceverà mai il sacro crisma, colto anzitempo dalla falce sanguinolenta della tubercolosi, che lo condurrà prematuramente a morte il 2 gennaio 1726.
Solo nel 1724 Zipoli concluse con merito il corso di studi teologici, di normale durata triennale, perché nel periodo tra l’arrivo in terra spagnola e la morte si situa la sua intensa attività missionaria, non fatta di splendenti costruzioni come quella del Primoli, né di attività che oggi potremmo definire di soccorso materiale, ma radicata nel suo talento musicale e diretta alla crescita spirituale e religiosa degli assistiti. Tra i primi fra gli organisti romani, Zipoli si fece missionario sospinto dalla potenza del linguaggio musicale occidentale, di cui egli si rende campione in terra ancora semi-pagana, riconoscendone l’utilità per l’evangelizzazione dei popoli latino americani. Si impegnò dunque attivamente tra le remote genti come maestro di cappella, direttore di cori più o meno improvvisati, organista e naturalmente compositore per quelle voci che anelavano il cantare Cristo secondo il detto della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Araldo del Vangelo attraverso la sua musica, Zipoli seppe lasciare memoria di sé nei confini dell’orbe cattolico, dove una sua messa a tre voci e orchestra venne eseguita per molti anni dopo il suo trapasso, dimostrando le capacità del linguaggio artistico di cui era vero maestro. Seppe dunque imprimere nei cuori amerindi l’amore per la vera Liturgia e quindi per Cristo, la Madonna e i Santi, ai quali si levò anche dalle più discoste regioni del globo l’inno di Lode. Le melodie cristalline e i fluenti passaggi armonici che caratterizzano il suo stile chiaro e così fortemente italiano, come non poteva che essere, risuonarono per qualche tempo nell’uno e nell’altro emisfero. Ma cosa rese possibile tale mirabile prodigio dei tempi? La pretesa universalità della Musica? L’eccellenza del maestro e la mansuetudine degli autoctoni allievi?
Ciò che sostanziò e diede forma all’esperienza missionaria di Domenico Zipoli fu la sua ferma certezza nell’universalità veramente cattolica della Fede e del Rito di Santa Madre Chiesa, certezza che inevitabilmente accese in lui lo spirito missionario, quella necessità spirituale di portare a tutti i popoli il lieto annuncio, conservandolo nella sua purezza ed integrità, nell’unica forma cioè in cui esso può conquistare a Gesù le anime del mondo. Alla lieta novella e al fine della Salvezza delle anime piegò la nobile Arte, consapevole di quella gerarchia che deve dominare il Sacro ed il suo esprimersi secondo le salutari forme prescritte dalla Chiesa, non date solamente ad una parte della Terra, ma consegnate alla Chiesa da Nostro Signore perché potesse nell’unità di Fede, Rito e Disciplina trarre i popoli dalle tenebre del paganesimo alla luce di Cristo. Così la Musica si fece strumento e segno mirabile del legame che tutti sostiene nel vincolo del Suo Corpo mistico.
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