martedì 8 giugno 2021

Caravaggio, cuore mariano della Lombardia


(photo by Paolo La Rosa)


Quando Giulio Cesare tornò dalla vittoriosa campagna di Gallia per fare ritorno a Roma, fece sosta nella Gera d’Adda. Qui sostò qualche tempo per rimettere in salute i suoi soldati infermi, la cui guarigione venne favorita dalla salubrità dell’aria. Il territorio nel quale i Romani presero dimora divenne una colonia, che prese il nome di Caravaggio, per via dei carri che trasportavano uomini e vettovaglie. Questo luogo, nel corso della sua storia, avrebbe visto fermarsi sulle sue strade un numero infinito di carri di ogni genere, più precisamente a partire dal 26 maggio 1432.

In questo giorno una contadina del luogo, Giannetta de Vacchi, si era recata poco prima del tramonto in contrada Mazzolengo, poco più di un miglio a sud del centro abitato, per fare erba per le sue bestie. Ne aveva raccolta tanta, e mentre si accingeva a ritornare a casa, una bellissima Signora le apparve ai suoi occhi. La pia Giannetta la riconobbe immediatamente, e la Vergine la invitò ad inginocchiarsi e a pregare con Lei. Giannetta protestò che doveva andare: era tardi e doveva nutrire i suoi animali ed inoltre non voleva incorrere nelle ire del marito, Francesco Varoli, uomo violento e dedito all’alcool.

La Madre di Dio le pose una mano sulla spalla e Giannetta cadde in ginocchio. In quel momento, laddove la Vergine aveva posato i piedi, scaturì una fonte d’acqua che ha dato il nome al santuario, Santa Maria della Fonte di Caravaggio.

La Vergine parlò così a Giannetta: Ascolta o figlia, e diligentemente attendi a quello che or sono per dirti, e a quanti potrai, tu stessa farai note le parole mie, e i miei sentimenti, o le farai con il mezzo d’ altri manifeste. La puzza de’ peccati del Mondo salita alle narici del mio unigenito Figliuolo Gesù Cristo l’avevano per modo riempito di giustissimo sdegno, che già con il fulmine alla mano era per distruggere l’umana generazione. Per sette continui anni ho io frapposte le mie intercessioni, e preghiere, in virtù delle quali si è finalmente placato, Tu dunque Giovannetta farai a tutti manifesto, che per un tanto beneficio conseguito a mia intercessione digiuni ognuno il giorno di Venerdì in pane ed acqua , e ciò ad onore del mio dilettissimo Figliuolo; e tutti parimente in mia memoria, e culto festeggino il Sabato dopo il Vespro richiedendo io questo in atto di gratitudine, e ricompensa per la singolarissima grazia col mio mezzo ottenuta.

Giovannetta, così veniva chiamata in paese, si schernì sentendosi inadeguata ad annunciare un tale messaggio, col rischio di non essere creduta da nessuno o peggio, di essere considerata pazza e derisa da tutti. No – le rispose Maria – levati, e non temere, vanne al Castello, narra, racconta, spiega quello, che vedesti, ed udisti, che confermerò io stessa con segni, e miracoli le tue parole; non oserà alcuno contraddirti. E questo luogo , in cui ora mi vedi, diverrà così celebre , e famoso , che risplendendo per innumerabili Miracoli chiamerà alla sua venerazione non solo il volgo, e bassa plebe, ma uomini grandi, nobili, e Principi illustri, diffondendo i raggi delle sue meraviglie, non tanto per l’ Italia, ma per forastieri Provincie, e remote regioni, a segno che con preziosi doni, tutti a gara arricchendolo, si renderà cospicuo a tutta la Cristianità.

E così fu. La fonte miracolosa risanò ogni genere di malati che in quei giorni vi si accostarono. La fama dell’apparizione e del sacro fonte si sparsero velocemente, suscitando curiosità e interesse da parte di tutti. Filippo Maria Visconti, ultimo Duca di quella casata a Milano, volle sentire il racconto di quanto accaduto dalla viva voce di Giovannetta. Dopo qualche rimostranza la veggente acconsentì, sembra su sollecitazione della stessa Vergine Maria, e a palazzo tutti si stupirono della sua umile eloquenza usata nel riferire l’accaduto. Cominciarono ad affluire così le prime donazioni per arricchire la primitiva cappella sorta sul luogo dell’apparizione. La fama di Caravaggio accrebbe rapidamente tanto da arrivare a Costantinopoli, alle orecchie dell’Imperatore d’Oriente Giovanni III Paleologo, devotissimo della Madre di Dio. Questi chiese al Duca di inviarle Giannetta, la quale giunse nella cattedrale di S. Sofia recando dei vasi contenenti l’acqua della fonte di Caravaggio. Furono anche qui numerosi i miracoli di guarigione che l’acqua miracolosa propiziò, così come numerosi furono i doni che Giannetta ricevette dall’Imperatore, i quali contribuirono in modo significativo all’edificazione della chiesa di Caravaggio. Il Santuario venne edificato nella seconda metà del XV secolo, sulle macerie dell’antica primigenia cappella che venne costruita. Fu Pellegrino Tibaldi a disegnarne il progetto, per la cui realizzazione occorsero tre secoli circa. Gli spazi sono enormi: la struttura è lunga 93 metri, è larga 33, mentre la cupola raggiunge l’altezza di 63 metri. La piazza sulla quale si affaccia la basilica è coronata da portici attraversati da 200 arcate simmetriche. Al centro del piazzale vi è una fontana lunga 50 metri, le cui acque raccolgono quelle del sacro Fonte, posto sotto la basilica, per confluire in una piscina posta nel piazzale sud del Santuario. Numerose sono le opere d’arte che lo impreziosiscono, a cominciare dal Sacro Speco, rappresentazione lignea posta sotto l’altare, nella quale viene rappresentata la scena dell’apparizione.

Il numero ingente di miracoli propiziati e la semplicità del messaggio dell’apparizione hanno contribuito da subito a far sì che il santuario lombardo diventasse il cuore mariano della regione e meta di pellegrinaggi da ogni angolo di essa, e non solo. La Gera d’Adda è zona ricca d’acqua, grazie alla quale le sue terre sono da sempre fertilissime. Per accrescere la fertilità delle terre nella zona orientale di Milano, lungo la Cassanese, la strada che congiungeva Milano a Brixia, l’anno successivo all’apparizione a Filippo Maria Visconti venne presentato il progetto del Canale della Martesana, o Naviglio Piccolo, che avrebbe portato le acque dell’Adda da Trezzo fino a Vaprio, per riversarsi quindi nella Molgora. Realizzato nei decenni successivi dagli Sforza, la Martesana avrebbe toccato Milano, per sfociare nella Darsena. Lungo questo canale e lungo le strade ad esso adiacenti, i pellegrini a maggio partivano da Milano e si recavano a Caravaggio. La vita e la morte, la luce e le tenebre, si sono alternate lungo queste acque e queste strade. Alla salubrità dell’aria e alla fecondità dei campi facevano da contraltare i lazzaretti, disseminati lungo il territorio, appena fuori le città, dove venivano raccolti gli appestati. Accanto ad essi abbondavano le foppe o opponi, antesignani dei camposanti, dove veniva data sepoltura a tutti coloro che soccombevano al morbo. Il flagello colpiva all’improvviso, lasciando in breve tempo vuote e desolate case e villaggi. La causa profonda di questo male ha scatenato la fantasia popolare: chi ne attribuiva l’origine alle eclissi e alle comete, e chi come don Ferrante, ne I Promessi Sposi, la attribuiva alla fatal congiunzione di Giove con Saturno.

La risposta a questo enigma la fornisce san Carlo Borromeo, nel 1576, quando affronta con grande coraggio il morbo, vestito con abiti penitenziali, ricoverando i malati ed impartendo loro i sacramenti. Secondo il santo vescovo la peste era un castigo di Dio per scuotere il suo popolo dall’indifferenza religiosa nella quale versava. Per porre fine al flagello san Carlo si adoperò favorendo processioni e preghiere pubbliche. Fece stampare libretti da distribuire a coloro che non erano in grado di uscire dalle loro abitazioni, in modo che tutti potesse pregare e chiedere perdono per i propri peccati. A lui si deve la diffusione delle colonne votive, molto simili ai cruceiros che si trovano lungo i pellegrinaggi maggiori della Cristianità. Poste nelle piazze, nei lunghi periodi di quarantena, le colonne fungevano da altari, per permettere a tutti di assistere alle S. Messa che si celebrava all’aperto, affacciati dalle loro finestre. Fu la processione che si svolse per le vie della città, con in testa il Crocefisso venerato in Duomo e il Sacro Chiodo della Croce, a porre fine a quella peste, ricordata col nome di san Carlo. Di croci di via, innalzate in quell’epoca, ne troviamo ancora oggi a Cernusco, a Gorgonzola, a Inzago, dove san Carlo stesso scelse il luogo ove costruire il lazzaretto, disegnandone anche la forma, e a Cassano d’Adda. Acqua e peste, grazia e peccato. Sembrano essere questi gli elementi essenziali di questo pellegrinaggio devozionale in particolare, ma anche di tutti gli altri. La peste quale segno tangibile del peccato, la cui puzza era salita alle narici di Gesù, come disse la Vergine a Giovannetta. E l’acqua del sacro fonte, che rigenera e risana, come quella battesimale che cancella le tracce del peccato originale, lasciandone solo le conseguenze.

L’acqua la ritroviamo insieme al pane, nel digiuno richiesto il venerdì, a ricordo della Passione di Nostro Signore, per parteciparne sia pure in infima misura. Tale digiuno verrà richiesto in molte apparizioni avvenute successivamente in altri luoghi, da ultimo a Medjugorie. E poi la Vergine a Giannetta anticipa la devozione a Lei dedicata nel giorno di sabato, in attesa del giorno del Signore, che verrà codificata a Fatima, con la pratica dei cinque Sabati.

Caravaggio continua a richiamare ancora oggi migliaia di uomini, donne e famiglie, dalla Lombardia, ma anche da tutta Italia. E’ la semplicità della storia di Giovannetta, insieme alla tenerezza materna di Maria, ad aver richiamato a questo santuario un numero infinito di visitatori che qui vi hanno ritrovato un’atmosfera di celeste familiarità, a ricordarci che il Cristianesimo non è una filosofia nè una morale, ma un rapporto intimo con Gesù, reciso il quale, le fonti della nostra anima rinsecchiscono. Maria le fa sgorgare nuovamente e ci riconduce sempre a Lui: ad Jesum per Mariam, e non si stanca mai di ricordarcelo. In luoghi sacri come questo la puzza del peccato e la peste sembrano definitivamente scomparsi, mondati dalla Grazia che vi si respira e che viene incessantemente elargita.


(di Maurizio Minchella, priore della Confraternita di San Jacopo di Compostela, Capitolo Lombardo)

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